Il baccalà alla vicentina come Confraternita comanda
Una stufa a legna, di quelle con lo sportello pesante, da aprire quando in casa inizia a scendere un po’ la temperatura e da riempire con pezzi di legno tagliati a misura. Il piano bollente di ferro, segnato da solchi incandescenti, su cui poggia una pentola di terracotta col fondo un po’ bruciacchiato e rovinato dal tempo e dall’uso: il coperchio non lascia intravedere cosa sta “pippiando” all’interno, ma un vicentino saprebbe indovinare dall’aroma che si sparge nell’aria. Per qualcuno è odore, per altri è profumo: la cottura del baccalà si può fare solo con grande lentezza e con il dovuto rispetto, la casa si rassegnerà ad esserne impregnata.
Il baccalà è lo stoccafisso, il merluzzo essiccato proveniente dalle Isole Lofoten. La sua pesca e il trattamento delle sue carni è una tradizione secolare: il corpo rugoso e scavato dalla disidratazione, perfettamente conservabile per lunghissimi periodi, una carne che una volta reidratata non è quasi pesce ma assomiglia più ad una sostanziosa fetta di carne tanto è robusto il suo sapore.
Il baccalà, come lo chiamiamo noi Veneti, è arrivato a Venezia secoli fa proprio quando ancora i frigoriferi non c’erano: mi piace pensare che sia arrivato fino a noi grazie ad un atto di rispetto e di devozione di un popolo allora sconosciuto, una dimostrazione di rispetto verso un uomo, il veneziano Querini, che con quello che rimaneva del suo equipaggio dopo un naufragio, trovò salvezza nell’isola di Rost. Lì ci rimase il tempo necessario a sistemarsi per ripartire e prima di lasciare l’isola venne omaggiato di alcuni stoccafissi per sostentare i suoi uomini durante il lungo viaggio di ritorno.
Questa storia me l’ha raccontata lo Chef Chemello de La trattoria di Palmerino, che peraltro per amore del “bacalà” quel viaggio l’ha lui stesso ripercorso. Sono stata nel suo ristorante e per qualche ora mi ha affascinato con la sua conoscenza e la sua devozione verso questa tipicità. Membro della Venerabile Confraternita del Baccalà- un organismo che si occupa di diffondere, grazie a pura passione e dedizione, la tradizione del vero baccalà alla vicentina - ci ha regalato con grande generosità e semplicità d’animo tanti consigli per una riuscita perfetta di questo piatto.
Il baccalà essiccato viene battuto per intenerire le fibre della polpa, poi viene messo immediatamente a bagno in acqua fredda in costante ricircolo per più giorni, fino alla completa reidratazione. Viene pulito con molta attenzione, ridotto in pezzi di media dimensione, cosparso di farina e condito con cipolla appassita in olio, prezzemolo, formaggio Grana grattugiato e un po’ di sale e pepe.
Cosi insaporito, ogni pezzo va arrotolato su se stesso per mantenere al suo interno ogni profumo, posto in una teglia di terracotta e coperto di latte e olio. Si cuoce per un tempo variabile, dipende dalla dimensione della teglia ovviamente, ma almeno un paio d’ore, per quanto poco, ci vorranno di sicuro.
La ricetta è codificata e si trova qui, sul sito della Trattoria. Importantissimo ricordare che l’unico accompagnamento possibile con questo piatto è la polenta gialla morbida: confortante e saziante, pane dei poveri che non manca mai sulle tavole venete.
Facile da realizzare quindi il baccalà alla vicentina, se vogliamo, ma con tempi di preparazione molto lunghi se si parte dal prodotto intero ancora essiccato. Incide grandemente la qualità del prodotto sulla buona riuscita: la mia nonna si arrabbia quando il baccalà cotto “diventa rosso”, cioè non mantiene le carni bianche, e dà la colpa alla qualità. In questa occasione ho capito che oltre a questo incide molto la cottura corretta, ma non diciamolo alla nonna, lei in fondo è tanto contenta quando vede che, rosso o bianco che sia, lo mangiamo tutti volentieri.